“Essere Montagna” – Dolomiti Hub al Contest Altitudini

Una storia di Silvia De March 

Fonzaso, un’insegna stradale tra le tante lungo la statale 50: una freccia gialla su sfondo nero, il simbolo di una fabbrica ed eccoci accompagnati in una zona industriale, giusto ai piedi delle vette feltrine. Quante di queste insegne si vedono lungo il nastro di asfalto a due corsie che collega la Val Belluna al mondo? Quante di queste macchie di cemento e lamiera sono oscurate dalle paratie laterali per passare inosservate al nostro sguardo? E’ sempre una triste sorpresa assecondare una di queste deviazioni e scoprire l’impronta del cosiddetto progresso proprio a ridosso di quelle cime che pur si sono lasciate ammirare più alte delle barriere.

Fonzaso dov’era, nell’atlante geografico, prima di Dolomiti Hub? Nella mia mente stava vicino ad un’area sosta camper, dove avevo parcheggiato in una giornata di libertà estiva, prima di un’escursione a piedi verso il cielo. Monte Front, Col Cesta, Pala Croce d’Aune, Pala Pedavena: pioli di terra e roccia invitano a salire verticali alla sommità del Monte Pavione. Il toponimo deriva dalla forma di un grande padiglione, sotto il quale si schiudono dei “circhi”, ampie conche di origine glaciale che formano un anfiteatro roccioso. In questa scena, se siete fortunati, potrete assistere allo spettacolo di animali selvatici che giocano tra loro alla vita. In ogni caso, non ne mancherà anche un altro: lassù è inevitabile che gli occhi si sintonizzino sulle frequenze elettrizzanti di altre simili altitudini; lo sguardo raccoglie la vastità, tocca ciò che non può raggiungere, dimentica gli scialbi sfondi della quotidianità. Se si guarda in basso, è soltanto per meglio apprezzare la propria lontananza.

D’altronde, più in basso, a parte le vette, che altro c’è, o meglio, che altro c’era? Una disseminazione di case, capannoni, fabbriche languenti, che scorre lungo il Cismon, lo Stizzon, la Piave. Un lembo di terra sostanzialmente anonimo, dimentico di qualche traccia storica apprezzabile, convertito alla dissacrazione urbanistica tipicamente moderna.

Ma i foresti, i foresti… i foresti di passaggio che ne sanno delle vite e delle fatiche che abitano ciò che loro soltanto attraversano? Arrivano, puntano a qualche destinazione più ambiziosa, rientrano: è loro l’indifferenza che non li trattiene appena svanisce quell’attrazione incontaminata che li ha richiamati qui. Facile ammirare occasionalmente lo spettacolo del creato, più difficile subire la sua forza magnetica adattandosi e trovando strategie di sopravvivenza alle sue prossimità.

Restare, infatti, dove si può essere ispirati dal paesaggio, dove esso può indicarci la direzione e ricordarci di essere fecondi, generosi, collaborativi, non è facile se il PIL si produce altrove, se della comunità non resta che un amarcord sbiadito di quando si era bambini, se la Cultura, soprattutto quella eretica e profetica, cerca un pubblico più ampio e più giovane altrove. Ma loro restano: le montagne, gli alberi, caprioli e camosci; restano il muschio, i funghi, i corsi d’acqua; restano i rododendri, i narcisi, persino le dafne. Nonostante noi, nonostante Vaia, nonostante le monocolture arboree. Se resistono loro, anche noi dobbiamo.

Ed è questo che all’Hub facciamo: restiamo.
Debora e Walter si sono chiesti come riuscirci per rispondere ad un punto interrogativo

riflesso negli occhi delle loro figlie. Quale futuro per loro? Quale futuro per tanti, scissi tra qualche attrattiva distante ed il senso di appartenenza ad un unico “qui”? La risposta non poteva essere la prosecuzione inerte del presente, di quella supposta normalità di cui la pandemia ha evidenziato i limiti e le ipocrisie. Qualcosa manca, qualcosa si sogna, qualcosa già c’è altrove, oppure è anche qui ma poco visibile. Raccogliamo tutto questo, come mattoni per una casa da rinnovare: che protegga, che conforti, che scaldi i tanti di qui e accolga le loro affinità elettive. Dolomiti Hub è la nuova casa per chi abita il feltrino e non solo e chiama a raccolta le tante energie vitali sparse e latenti nella vallata e non solo. Metropolitano, aerospaziale, infosferico, Hub non è termine da area montana. Ma se ci aggiungi Dolomiti – Dolomiti Hub – si stabilisce un cortocircuito possibile. Spazio nello spazio, è un centro polivalente istituito nel bel mezzo di un’area industriale, riconvertendo uno spazio commerciale a sede di un’impresa sociale. Si affaccia alla statale, emerge dal tram tram della routine produttiva, si arrabatta tra bollette e mutui come le case di tutti; ma è abbracciato dalle spalle larghe delle montagne e questo fa la differenza, è la sua forza. E perciò accade che all’interno delle mura rigorose di un edificio voluminoso, ci si imbatte in un vero e proprio polmone verde per chi vuole respirare umanità e l’aria di un futuro sostenibile per essa.

Come in un caravanserraglio di qualche steppa orientale, a Dolomiti Hub ci si ritrova e riconosce, ci si racconta, si condividono esperienze e pratiche, si lavora insieme, si disegnano traiettorie per l’avvenire, si conclude una giornata guardando in compagnia un film o uno spettacolo di teatro. Dallo yoga al coworking, dal cineforum alla consulenza per progetti innovativi, dalle conferenze sull’attualità ai laboratori creativi, non mancano proposte che intendono intercettare le più varie fasce d’età, singoli provenienti da contesti di vita differenti, realtà associative ed imprese. A Dolomiti Hub si resta – o si torna – a fare cose insieme, non come un branco ma come una moltitudine di componenti che riconosce la propria reciproca interconnessione. Si scommette, infatti, che sia possibile riqualificare il territorio e disegnare nuove prospettive per chi lo abita, sostenendo le relazioni umane e le opportunità che possono scaturire dall’incontro e dalla sinergia di competenze ed esperienze diverse.

L’intuizione è di Walter Moretto e Debora Nicoletto, lui e lei, una coppia decisamente originale. Viaggiatori instancabili, esploratori curiosi del presente e dell’avvenire, mai sazi delle esperienze più galvanizzanti; eppure teneramente legati all’ humus dove sono spuntate le loro radici. Ma ciò che li rende in qualche misura unici è la qualità del loro amore che, invece di trincerarsi nel nido familiare, si è aperto, si è messo al servizio della comunità, opera per il futuro delle proprie figlie dedicandosi alla collettività. Quanto di “montanaro” si può riconoscere in loro, è quindi il rispetto caparbio del dono di esserci e degli obblighi morali che ne derivano.
L’Hub profuma di bosco: di aghi sempreverdi, di sottobosco che stratifica, di corteccia che cresce pulsando gocce di resina su ogni ferita. Della natura alpina circostante ha fatto propria la visionarietà di chi arriva in alto coi piedi ben ancorati a terra; la dimensione ecosistemica, in cui ciascuno è connesso con l’altro e con ciò che li contiene; la generatività, grazie alla quale il Tutto trova strategie per rinnovarsi e ricrearsi. Le tante anime di Dolomiti Hub sperimentano una dimensione partecipativa più unica che rara, per tracciare sentieri inediti da intraprendere insieme, attraverso confronti di punti di vista, decisioni condivise,

sintesi dei contributi di ciascuno. Scambiandosi saperi e risorse, scoprendo la reciproca complementarietà, contaminandosi, gli hubbers tentano di apportare quel valore aggiunto che possa migliorare gli equilibri territoriali. Un modello non molto diverso dal bosco in cui elementi disparati appaiono solo ai nostri occhi miopi tra loro irrelati, mentre concorrono a migliorare le possibilità di sopravvivenza dell’insieme.

Accanto Debora e Walter, ci sono amici che condividono i loro sogni e bisogni; sconosciuti alla ricerca, attirati dal fermento e dal clima di accoglienza, scopertisi reciprocamente familiari nel giro di qualche chiacchierata in cui ci si è riconosciuti umanamente affini; interlocutori di rilievo, partner affermati anche a livello nazionale, pronti a testimoniare la loro fiducia in un progetto innovativo con un altissimo potenziale; istituzioni che, nel quadro della sussidiarietà, sostengono uno dei sempre più rari “corpi intermedi” tra singoli cittadini ed
enti. Troviamo il grafico free-lance che, dopo aver spaziato tra gli studi più qualificati delle cities, sente nostalgia del proprio territorio e torna. C’è la giovane illustratrice che fa la pendolare tra la metropoli capitale dell’editoria e il suo piccolo borgo dove la qualità della vita e soprattutto della salute è ancora garantita. C’è chi è nato altrove, nei cuori iperproduttivi della nostra penisola, e poi, come un colpo di fulmine, si è innamorato della cornice paesaggistica e si è trasferito entrando a far parte del quadro. C’è il docente universitario che qui non ha un ateneo ma non mancano spunti e spazi di ricerca. C’è l’impiegato al supermercato che mette da parte i soldi per covare un sogno da condividere. C’è la giovane ricercatrice finanziata da borse di studio all’estero ma che mantiene un piede nel suolo feltrino. E c’è il programmatore di Google che dall’Irlanda rientra in smart working. C’è il compositore musicale in carriera e l’anziana tessitrice. C’è l’esperto di intelligenza artificiale e quello in conservazione e restauro di manufatti architettonici.

I momenti forse più belli sono quelli in cui sulla terrazza dell’Hub si distribuiscono tavoli e panche, si imbandiscono pranzi a base di pane, salumi e formaggi, di torte fatte dalle tante mamme che ci sono alle spalle, di vino frutto di vendemmie sudate, di qualche altra leccornia donata dai sostenitori dell’Hub. Simili e diversi, godiamo lo spettacolo che ci avvolge delle vette feltrine e del Monte Grappa, la sorpresa di conoscerci e scoprire qualcosa di prezioso e vitale in chi ci sta accanto, l’entusiasmo di credere insieme di essere nella direzione giusta: quella della montagna.

Le Dolomiti che ci guardano sono state dichiarate patrimonio dell’Unesco; e i loro abitanti non ne sono forse parte anch’essi? Non sono essi stessi un patrimonio? All’Hub è di loro che si prende cura, intercettando difficoltà, capacità, desideri. Nel tentativo di essere, delle vette circostanti, non solo spettatori passivi ma degni eredi ed interpreti. 

“Questa storia partecipa al Blogger Contest 2020” di Altitudini